Come avviene la manipolazione dei social media? Questi sono i 3 modi più evidenti in cui i social manipolano il nostro comportamento.
Per il cervello primitivo, l’esclusione sociale è una seria minaccia per la sopravvivenza e evitarla guida il nostro comportamento. Per questo cerchiamo nuove connessioni sociali e siamo molto sensibili ai segnali sociali. Questa consapevolezza sociale ci consente di adattare il nostro comportamento e aumentare la nostra probabilità di accettazione sociale.
In uno studio di Science (“Does Rejection Hurt”) è stato valutato come il nostro cervello interpreta l’esclusione sociale.
I ricercatori hanno collegato i partecipanti al test in una macchina per la risonanza magnetica funzionale (fMRI) che misura il flusso sanguigno nelle diverse regioni del cervello per darci un’idea di dove sia più alta l’attività cerebrale.
I soggetti hanno quindi giocato a un videogioco che consiste nel lanciare e ricevere una palla da altri due giocatori. Per l’esperimento due giocatori hanno iniziato a lanciarsi la palla solo tra di loro, dando agli altri soggetti una sensazione di esclusione sociale.
Chiunque abbia giocato in uno sport di squadra conosce quella sensazione dolorosa che si prova quando nessuno ti passa la palla. I ricercatori hanno quindi ripetuto l’esperimento con un secondo gruppo di giocatori in cui nessuno è stato fatto sentire escluso. Il gruppo escluso ha sperimentato un aumento del flusso sanguigno alle stesse parti del cervello che si illuminano quando si verifica dolore fisico. L’evitare il dolore è uno dei più forti motori del comportamento umano.
Questo tipo di attacco al cervello tribale avviene ogni giorno sui social media e costituisce uno dei modi della manipolazione dei social media.
Ricevere pochi o nessun Mi piace su un post può portare a una minore autostima, a un sentimento di ridotta appartenenza e alla percezione di sentirsi ostracizzati. Questo effetto di mancanza di Mi piace può essere interpretato come un “segnale di esclusione sociale” e avrà effetti sui nostri comportamenti online.
Persone diverse rispondono in modo diverso alla ricezione di Mi piace, alcune sono più sensibili di altre. La maggior parte sembra essere meno preoccupata del numero totale di Mi piace ma si preoccupa soprattutto di capire chi apprezza i loro post.
In particolare si desidera che coloro che ci sono vicini apprezzino i nostri selfie, ma vogliamo soprattutto che piacciano a quelle persone che riteniamo abbiano un alto valore sociale. Naturalmente questo non accade sempre, quindi come reagiamo quando i nostri post cadono nel vuoto?
Quando un post riceve pochi Mi piace, gli utenti spesso attribuiscono il motivo a un algoritmo che non favorisce il loro post per cui le persone semplicemente non lo vedano. Ma questo processo di pensiero razionale non sembra verificarsi quando ci chiediamo perché a certe persone non sia piaciuto.
Se siamo in grado di rassicurarci sul fatto che un algoritmo sia il motivo per cui il nostro post non è stato così popolare come avremmo voluto, tuttavia ci chiediamo “perché non è piaciuto a mia sorella”? “È arrabbiata con me”? Ci sentiamo socialmente esclusi quando a persone vicine relazionalmente non piacciono i nostri post, anche se è possibile che semplicemente non li vedano.
Il sentirsi socialmente esclusi ci spinge a entrare in contatto con gli altri e a diventare maggiormente sensibili ai segnali sociali ma può anche farci cadere in un “ciclo di feedback di convalida sociale“. E’ evidente che la capacità di Facebook di attingere a dati granulari sulle nostre pulsioni umane di base solleva preoccupazione per il potere incontrollato che possiede tale azienda.
I “mi piace” come micro-ricompense
La sensazione di disagio che deriva da falsi “segnali di esclusione sociale” ci fa cadere in uno stato di vulnerabilità. Tuttavia i social media ci offrono ricompense che sono molto variabili in quanto il loro algoritmo di visualizzazione potrebbe mostrare il nostro post a molte persone ma anche a pochissime persone.
Questo ci spinge a pubblicare sempre nuovi posti, ci fa ripetere lo scrolling del feed del social network e si concretizza in un’altra modalità di manipolazione dei social media. Questo meccanismo è lo stesso per cui le persone passano ore a versare denaro nelle slot machine: i nostri cervelli vengono catturati dall’incertezza di quando arriverà una ricompensa.
Ricordiamoci che ogni aspetto dei social media è progettato per coinvolgerci, dal meccanismo di scorrimento infinito e di riproduzione automatica alle notifiche continue.
La funzione “mi piace”, sebbene sia un concetto relativamente nuovo, attinge alla spinta di cercare continuamente segni di accettazione sociale, come i voti, i retweet, i +1, i pulsanti di reazione e tutte le altre forme illusorie di valore social. Questa è la “moneta sociale” di app come Facebook e Instagram e la ricompensa sembra essere maggiore a seconda di chi ci dà il like.
Dare Mi piace attiva percorsi simili anche quando siamo noi a fornire il like ai post di perfetti sconosciuti. Se a qualcuno sono piaciuti i nostri post, è più probabile che ci piacciano i loro a causa della natura sovrapposta di questi percorsi di ricompensa.
Questa “prova sociale” è rappresentata dalla convinzione che qualcosa sia di valore proprio perché gli altri hanno assegnato il like. Questo è il motivo per cui è più facile trasformare 10.000 follower in 50.000 che trasformarne 10 in 500: la prova sociale porta a una crescita esponenziale e i socialmente ricchi diventano ancora più ricchi.
Tutto ciò serve per farci appassionare e dedicare più tempo ai nostri telefoni che alle interazioni sociali del mondo reale.
Perché fare tutto questo sforzo per essere socievole quando puoi semplicemente fare clic su alcuni pulsanti e ottenere ricompense simili?
Questo effetto viene amplificato nella pandemia in corso e nel mondo di distanziamento sociale nel quale stiamo vivendo.
Quindi, se non siamo spinti a utilizzare i social media per evitare il dolore del rifiuto, allora siamo ipnotizzati dal fascino dell’accettazione sociale. Ma c’è un’altra forza altrettanto potente che ci incolla ai nostri telefoni e manipola il nostro libero arbitrio.
La paura di perdersi qualcosa
La “paura di perdere qualcosa” (in inglese FOMO – Fear Of Missing Out) è quella sensazione di ansia che proviamo di fronte alla consapevolezza che gli altri si divertono senza di noi. È un potente motore del comportamento umano e può provocare decisioni di investimento sbagliate o anche un uso disperato dei social media.
Il FOMO infonde un senso di urgenza che può essere alleviato solo partecipando a tutto ciò che crediamo di “perderci”.
Tuttavia questa paura di perdersi qualcosa, insieme all’uso eccessivo dei social media, provoca maggiore ansia, depressione e una minore qualità percepita nella propria vita.
Questa paura può anche ridurre la nostra capacità di consapevolezza poiché è difficile “esserci” nel momento presente se hai una preoccupazione persistente che gli altri stiano divertendosi senza di te. Anche avere una conversazione mentre si sperimenta questa paura diventa una sfida.
Questo è il motivo per cui vediamo a volte persone che controllano costantemente il telefono invece di ascoltare quello che diciamo (una pratica nota come “phubbing”). Questo comportamento influisce negativamente sulle relazioni tra le persone e rafforza il “ciclo di feedback di convalida sociale”.
Altri articoli che potrebbero interessarti sulla manipolazione dei social media:
Commenti